Primo Levi è andato oltre la testimonianza: ha fatto della sua scrittura la più esemplare descrizione di un esperimento; e la sua grandezza di scrittore sta anche, forse soprattutto, nell’intuizione di descrivere Auschwitz come “esperimento scientifico”. Lo dice il professor Massimo Bucciantini, docente di Storia della Scienza all’Università di Siena-Arezzo, nella seconda lezione del ciclo dedicato allo scrittore torinese dal Centro Primo Levi. Bucciantini si fa anche una domanda apparentemente difficile: Auschwitz è stato narrato molte volte, ma solo Levi lo ha descritto a quel modo. Perché? È un problema letterario, ma non solo.
Una chiave molto significativa, aggiunge, è nel capitolo “I sommersi e i salvati” di Se questo è un uomo, proprio al terzo paragrafo: “Si rinchiudano tra i fili spinati migliaia di individui diversi per età, condizione, origine, lingua, cultura e costumi e siano quivi sottoposti a un regime di vita […] identico per tutti e inferiore a tutti i bisogni: è quanto di più rigoroso uno sperimentatore avrebbe potuto istituire per stabilire che cosa sia essenziale e che cosa acquisito nel comportamento dell’animale-uomo di fronte alla lotta per la vita”. Levi sapeva benissimo che cosa stesse facendo, quale fosse la sua strategia di scrittura. Ed era una strategia quasi scientifica.
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Uso della lingua
quivi: è forma letteraria dell’avverbio qui.