(fonte: Roberto Saviano, Repubblica)
La cinematografia Italiana non si è mai davvero occupata di mafia. Mi piace che dalle pagine di Morreale sia possibile trarre questa veloce sintesi. È controintuitiva, vi sarà sembrato di vedere soltanto film di crimine e mafia negli ultimi anni. In realtà, la trasformazione velocissima in genere, il nostro genere western – suggerisce Morreale – ha come depotenziato l’analisi, smarrito il racconto, edulcorato le storie. Non credo sia proprio così, o quantomeno non credo si possa farne principio su cui fondare tutta l’ermeneutica del cinema di mafia italiano. Ma sento di sottoscrivere che il film che si occupa di mafia non è un film antimafioso, né un film sulla mafia. È un film in cui i protagonisti (spesso eroi antimafia) sono dentro un teatro di pistole, strategie, cospirazioni, omicidi, coraggio, slealtà. Potrebbe essere mafia come qualsiasi altra organizzazione o contesto, non ci si pone l’obiettivo primo di raccontare quel mondo ma solo di immergere dei personaggi in quel mondo. È un sapore.
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Spunti per la riflessione
Questo articolo è uscito anche per presentare un libro sulle rappresentazioni della mafia nel cinema che sarà a giorni in libreria. Si tratta di La mafia immaginaria. Settant’anni di Cosa Nostra al cinema (1949-2019), di Emilio Morreale (Donzelli Editore).
Che cosa dice, del libro, Saviano?
Nel suo articolo, Saviano pone parecchie domande, che rivolgiamo anche al nostro pubblico:
- Il cinema e la tv devono porsi obiettivi pedagogici?
- Un film sulla mafia deve contrastarla o solo raccontarla?
- E ancora: un film che ha solo un’ambientazione siciliana e criminale si può definire un film sulla mafia?
- Cosa Nostra ha mai temuto i film che l’hanno raccontata?
- Perché i mafia movie sono così amati?
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