Pianista che suona su un pianoforte a coda.

Lo studio di Roberta Bianco, neurobiologa diplomata al conservatorio, svela le differenze nella mente di jazzisti e musicisti classici. Mostrando come la loro mente sia perfetta per capire i segreti della neuroplasticità umana. Anni e anni di esercizio, infatti, la rendono un ottimo terreno d’esame
L’ammirazione per il prof di scienze, le lezioni di flauto. L’amore per Bach: «Le sue melodie come un mondo perfetto d’incastri e variazioni». Roberta Bianco, 31 anni, ha risolto così: diploma al conservatorio, master in neurobiologia a Pavia e dottorato in neuroscienze cognitive al Max Planck Institute di Lipsia, in Germania.
Ora, dopo un anno in Canada, si è trasferita all’University College di Londra. Qui sta studiando la maniera in cui il cervello riconosce determinati schemi sonori.
«Suonare è un piacere immenso, mi appassiona e gratifica la sfida. Ma non faceva per me, la persona meno musicale che conosco. Sono pure stonata». Ha preferito la ricerca. Senza dimenticarsi delle note. Così da più di cinque anni entra nella testa dei pianisti «con l’obiettivo di capire quali sono i processi cerebrali che guidano chi si mette alla tastiera, come una mano invisibile». Cosa c’è dietro quegli accordi che ci emozionano. «La musica è l’esempio di ciò che la mente umana è in grado di fare nella sua massima espressione» spiega la studiosa. Il cervello dei musicisti «è una scatola nera su cui fare luce». Scoprirne i segreti, il meccanismo.

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Note linguistiche

Non faceva per me: è un’espressione idiomatica che significa “non era una cosa adatta per me”
Nella mente dei pianisti

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