gruppo di professori intorno a un corpo mummificato in un'aula universitaria

(fonte: Claudio Giunta, Il Post)

Quante belle cose ho fatto nel mese di settembre! Ho licenziato la nuova edizione della mia antologia per le scuole superiori, e l’ho presentata ad alcune decine di insegnanti; sono stato all’estero per la Settimana della lingua italiana; ho parlato di Kafka (senza grande competenza) a una conferenza pubblica a più voci su Kafka; sono stato ospite della Festa del Racconto di Carpi e ho parlato con due ottimi scrittori di fronte a un folto pubblico domenicale.

Tutte queste belle cose cadono, quale più quale meno, sotto la categoria “Terza missione”, che è stata introdotta da qualche tempo nelle università. Vorrebbe dire che oltre alle prime due di missioni, che sono insegnare e studiare (o “fare ricerca”), ne esiste una terza della quale l’università, cioè i professori universitari, devono farsi carico, e cioè condividere i prodotti dei loro studi con il mondo che sta al di fuori dell’università, comunicare il proprio sapere alla società che, non bisogna dimenticarlo, gli paga lo stipendio (e gli studi, e le biblioteche).

Per leggere tutto l’articolo di Claudio Giunta, clicca qui: Il Post

Spunti per la discussione

Voi condividete l’opinione di Claudio Giunta che la terza missione “Come attività normata e premiata rischia di diventare lo sport preferito di chi non ha tanto a cuore né la prima né la seconda missione, e ama sentire il suono della propria voce”, e che invece “bisogna fare poche cose, con più cura; e limitare, non moltiplicare, le occasioni di distrazione dai compiti primari dell’università?”

Le missioni dell’università sono due, non tre

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