(fonte: Francesca Vecchioni Corriere)
Chi lo vuole derubricare a un’inutile imposizione lo chiama politicamente corretto. In Italia va di moda dire che deve essere superato, senza che si sia mai praticato davvero. Francesca Vecchioni, con la sua Fondazione Diversity — che si occupa di promuovere i valori del pluralismo e dell’inclusione — ha preparato una guida al linguaggio inclusivo, per parlare nel modo migliore di persone lgbtq+, colore della pelle, disabilità e genere
Perché è importante un linguaggio inclusivo?
[…] In particolare usare le parole che le comunità ci chiedono di usare a noi non costa niente, ma fa sì che loro si sentano riconosciute».
Nelle vostre linee guida sconsigliate di usare parole, in particolare per quanto riguarda la disabilità, che fino a poco tempo fa erano considerate politicamente corrette: “non udente”, “non vedente”, autistico “ad alto funzionamento”, “diversamente abile”; persona “con l’Asperger”. Ora non lo sono più: come è possibile?
«La lingua è in mutamento continuo perché è uno specchio della società, che a sua volta si evolve costantemente».
Per leggere tutto l’articolo di Francesca Vecchioni clicca qui: Corriere.
Spunti per la discussione
Siete d’accordo che conformare la lingua ai cambiamenti della società sia giusto e possa aiutare le persone ad adeguarsi alle nuove esigenze?
Oppure pensate che obbligare la lingua a conformarsi a delle regole sia un’inutile imposizione?
Un altro modo di guardare alla questione potrebbe essere questa: una lingua più inclusiva favorisce il conseguimento di una vera ‘inclusione’, o una società veramente inclusiva porta con sé un cambiamento spontaneo della lingua?
Intervenire sulla lingua intacca profondamente la società o è un cambiamento marginale?