Cinque uomini che cammina con giacca e cappello.

(fonte: Nadia Ferrigo, La Stampa)

Arriva per tutti e per tutte il momento in cui ci si guarda allo specchio e non ci si sente più esattamente a proprio agio con T-shirt e scarpe da ginnastica? A un certo punto capita anche ai più agguerriti nemici della camicia e delle scarpe comode a tutti i costi. Che sia un matrimonio, la laurea o il primo colloquio di lavoro, un armadio zeppo di felpe e jeans dovrebbe essere etichettato se non inadeguato, almeno insufficiente.

La moda è uno degli indicatori più interessanti per studiare i cambiamenti della società democratiche e contemporanee. È ambivalente, perché da una parte sottolinea i confini, dall’altra li sposta di continuo. E così provoca il cambiamento. Si segue per distinguersi, ma è un’originalità sempre mediata dalla volontà di restare in un gruppo riconoscibile. «Un esempio semplice di cambiamento è l’identità di genere. I reparti uomo e donna sono ancora separati, ma la moda unisex sottolinea la progressiva fine dei confini tra i ruoli – spiega Gaia Peruzzi, professore in Sociologia dei processi culturali alla Sapienza di Roma -. I professori universitari si presentavano a lezione solo in giacca e cravatta, oggi non è più così. …

Per leggere tutto l’articolo di Nadia Ferrigo,  clicca qui: La Stampa.

Spunti per la discussione

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L’abito fa il monaco?

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