uomo e cane in montagna(fonte: La Stampa)

E’ un ambiente che puoi ammirare e sentire in un week end di vacanza, in un trekking, e ti fa meraviglia. Ma se lo vivi tutto l’anno, se lì ci lavori, tra animali selvatici, ghiacciai e pietraie, pascoli e ghiacci, se pesti neve per almeno otto mesi, se lo affronti anche di notte, allora sei “In un altro mondo”. Come il titolo del documentario del regista valdostano (della Valle d’Aosta) Joseph Péaquin che in quel “mondo”, vicino e lontano ad un tempo, ci ha vissuto un anno (“anche con paura”) per seguire il lavoro del guardaparco Dario Favre, neanche 50 anni, che ha una vita scandita da quella degli animali del più vecchio parco italiano, il Gran Paradiso.

Montagne, soltanto montagne, stambecchi e camosci. E il lupo che è tornato a Valsavarenche. Favre vive lì con una figlia di 14 anni, Sara, che d’inverno è l’unica adolescente o quasi. Quel papà a inseguire gli animali per quattro giorni la settimana la chiama al mattino con il cellulare: “Ciao piccola, ricordati la scuola”. Il fascino del contrasto, quell’ambiente aspro e splendido, sempre uguale a se stesso, e l’uso delle moderne tecnologie, dal cellulare al computer.
“Questo ho voluto raccontare in un film-documentario che non ha trama, che non narra una storia”, dice Péaquin.

Il link non è più attivo: La Stampa

Uso della lingua

In questo articolo il cronista usa una lingua intima e lirica. Lo si nota dal fatto che si rivolge al lettore direttamente (v. l’uso della seconda persona singolare sottolineato in rosso), e da alcune espressioni grammaticalmente poco ortodosse, tipo una frase senza verbo (quale?), o “Quel papà a inseguire“… Come sarebbe più corretto e consueto dire?
Il guardiaparco è colui che controlla un parco, il ranger.

Il guardiaparco del Gran Paradiso

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